I tagli e il rischio di iperprotezione
Il rischio nell’epoca attuale è tendenzialmente considerato come qualcosa da evitare, qualcosa di brutto, eppure può rappresentare anche la possibilità di un’evoluzione, di un miglioramento (Parton, 1996; Stalker, 2003; Webb, 2006). Nel lavoro sociale il rischio è centrale e paradossale, rappresenta una delle sue ragioni d’esistere (Stalker, 2003) ed è allo stesso tempo necessario affinché possa avvenire un cambiamento. È indubbio che per poter trasformare una situazione sia necessario allontanarsi dal conosciuto, dal sicuro per avventurarsi nel rischio e nello sconosciuto, anche solo parzialmente. In altre parole, il lavoro degli operatori sociali richiede di poter prendere dei rischi, permettendo alle persone con cui lavorano di prendere rischi a loro volta. È infatti chiaro nella dinamica educativa che il presupposto alla presa di rischio da parte degli utenti dei servizi sia la presa di rischio da parte degli operatori del servizio in questione.
Gli operatori sociali sono sempre più confrontati alla richiesta della società complessa di attuare sia il principio di rischio che quello della precauzione (Morin, 2001). Se da una parte non è possibile un’evoluzione della situazione senza una presa di rischio, dall’altra sono aumentate le pressioni al fine di eliminare il rischio (Green, 2007). Già da anni le istituzioni sociali, su richiesta del governo, stanno adottando strumenti derivanti dall’ambito manageriale, centrato sulle prestazioni misurabili e sui risultati; basate quindi sulla gestione del rischio. Procedure e direttive che però faticano ad adattarsi ad una pratica individuale ed eticamente connotata. (Webb, 2006)
È chiaro che la gestione del rischio nella direzione di una sua notevole riduzione, se non annullamento, abbia due funzioni. La prima proteggere i governi e le istituzioni (ma anche gli operatori) da rischi reputazionali, ovvero dalla possibilità di essere ritenuti “colpevoli” di un danno o conseguenza negativa (Power, 2004; Rothstein et al., 2006). La seconda fungere da strumento di contenimento dei costi e razionalizzazione dell’uso delle risorse tramite audit e contratti di prestazione (Molina, 2019; Webb, 2006). Audit e contratti di prestazione permettono infatti di ridurre il margine di rischio implicando la riduzione del margine di manovra degli operatori. Questa riduzione, per la quale motivazioni alcuni autori vedono un tentativo di risparmio e di allocazione razionalizzata delle risorse (Molina, 2019; Webb, 2006), è indubbio permetta agli organi addetti alla governance dei servizi di risparmiare. Questo sia per una minore necessità di dover gestire danni reputazionali e non sia potendo allocare le risorse unicamente dove il rischio, sia reputazionale che non, è maggiore.
A quasi un anno dall’annuncio dei tagli la situazione continua a preoccupare l’autore, se il governo Ticinese ridurrà come da progetto il sostegno alle istituzioni sociali, ci sono buone probabilità che per meglio gestire le sempre più limitate risorse la gestione del rischio acquisisca una centralità sempre maggiore (Power, 2004). Le istituzioni rischierebbero di diventare sature con la regolazione del rischio, conducendo ad una pratica conservatrice e avversa ai rischi da parte di dirigenti e operatori in prima linea (Webb, 2006). Quando il rischio diventa istituzionalizzato infatti “l’abilità e la volontà dei professionisti di prendere rischi [..] è ridotta” (Parton, 1996, p. 113 tda). Questo perché in questi ambienti saturi emerge un spostamento dalla ricerca delle cause alla ricerca del colpevole (Webb, 2006) e il timore di essere accusati di un una conseguenza negativa rischia di prendere il sopravvento. Dal lavoro di tesi emerge come gli operatori potessero sentirsi limitati nella presa di rischi dalla presenza di procedure perché troppo rigide e non adattabili alle situazioni individuali.
Ma i tagli non preoccupano chi scrive solo per eventuali nuove e più stringenti direttive rispetto alla gestione del rischio. Sellars concentrandosi sull’ambito della disabilità evidenzia come se si vuole che le persone “abbiano la possibilità di sperimentare una ‘vita vera’ con tutti i rischi e tutti i pericoli annessi, gli operatori e gli altri professionisti devono poter avere il tempo e le risorse necessarie per fare il proprio lavoro correttamente” (Sellars, 2006, p. 36). Se già il vissuto di alcuni operatori risulta essere critico in quanto a mancanza di risorse e di tempo, i tagli non possono che peggiorare la situazione. Vari autori evidenziano come allo scopo di favorire la presa di rischio positiva sia necessario che responsabili, operatori, famigliari e utenti si confronti su questa tematica (Molina, 2019; Seale et al., 2013; Sellars, 2006). Confronti che permettano di creare dei percorsi di sviluppo e di trasformazione e quindi di assunzione di rischio. La mancanza di risorse non può che rendere più difficile questo processo, con il pericolo che queste discussioni vengano relegate a secondarie.
In ultimo i tagli rischiano di aumentare ulteriormente il sentimento di frustrazione e di insoddisfazione degli operatori. Sentimenti che uniti ad una carenza di risorse non potranno fare altro che favorire una pratica avversa al rischio e controllante (ad es. Sellars, 2006). Una pratica di cui gli utenti ne risentiranno parecchio, vedendo le loro possibilità drasticamente limitate. Una pratica che ne limiterà la libertà, l’empowerment, l’autodeterminazione e i percorsi di sviluppo e crescita. Ma una pratica, per quanto discusso brevemente qui e nella tesi in questione, inevitabile senza le adeguate risorse, risorse che però stanno venendo notevolmente tagliate.
Già in conclusione della tesi, prima dell’annuncio dei tagli ma consapevole dell’approvazione del decreto Morisoli, veniva scritto questo (Pintos, 2022, p. 36):
A conclusione di questo scritto non si può che attualizzare la richiesta. Allo scopo di poter svolgere una pratica che permetta alle situazioni di cambiare e alle persone di svilupparsi, e quindi offra la possibilità di assumere rischi. Un anno dopo l’annuncio i tagli annunciati al settore sociale rimangono inaccettabili in un’ottica di lavoro sociale moderno che guarda verso l’inclusione, l’empowerment e l’autodeterminazione.
In quanto operatori però non possiamo permetterci, pena il benessere dei nostri utenti, di non resistere, almeno nella nostra pratica, a questa saturazione del rischio trovando di volta in volta gli strumenti professionali e interprofessionali che permettano alle persone che si rivolgono a noi di fare esperienze di autonomia e autodeterminazione.
In conclusione, dobbiamo riuscire a non dimenticarci di riflettere sul rischio e in particolare sul rischio di iperprotezione e nel farlo coinvolgere la complessità delle reti formali e informali con le quali collaboriamo alla costruzione di percorsi di vita.
Rafael Pintos
Bibliografia
Green, D. (2007). Risk and Social Work Practice. Australian Social Work, 60(4), 395–409. https://doi.org/10.1080/03124070701671131
Molina, Y. (2019). La pratique prudentielle comme régulation du risque. In M.-H. Soulet (A c. Di), Le travail social sous l’œil de la prudence (1°, Vol. 53, pp. 89–106). Schwabe Verlag.
Morin, E. (2001). I sette saperi necessari all’educazione del futuro (S. Lazzari, Trad.). Cortina Raffaello.
Parton, N. (1996). Social work, risk and ‘the blaming system’. In Social Theory, Social Change and Social Work. Routledge.
Pintos, R. (2022). Oltre il rischio. Un’indagine qualitativa
per comprendere come andare “oltre il rischio” per sviluppare pratiche
educative sempre più favorevoli l’empowerment all’interno delle strutture LISPI
[Bachelor, Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana].
https://tesi.supsi.ch/4550/
Power, M. (2004). The Risk Management of Everything. Journal of Risk Finance, The, 5, 58–65. https://doi.org/10.1108/eb023001
Rothstein, H., Huber, M., & Gaskell, G. (2006). A theory of risk colonization: The spiralling regulatory logics of societal and institutional risk. Economy and Society - ECON SOC, 35, 91–112. https://doi.org/10.1080/03085140500465865
Seale, J., Nind, M., & Simmons, B. (2013). Transforming positive risk-taking practices: The possibilities of creativity and resilience in learning disability contexts. Scandinavian Journal of Disability Research, 15(3), 233–248. https://doi.org/10.1080/15017419.2012.703967
Sellars, C. (2006). Crescere nell’autonomia. Gestire i rischi e le potenzialità individuali in persone con disabilità intellettive (F. Rovetto, A c. Di; A. Campanini, Trad.). Vannini.
Stalker, K. (2003). Managing Risk and Uncertainty in Social Work: A Literature Review. Journal of Social Work, 3(2), 211–233. https://doi.org/10.1177/14680173030032006
Webb, S. A. (2006). Social Work in a Risk Society: Social and Political Perspectives (2006° edizione). Palgrave.